Marco Cavallo ringrazia Lecco

Cari bambini, care ragazze e ragazzi e cari detenuti,

vorrei ringraziare prima di tutto voi, perché mi avete commosso con il canto, la musica e le immagini di tanti altri cavalli che avete fatto nascere con le vostre mani, perché venissi accolto anche dai miei fratelli.
Mi ha commosso la grazia dei canti dei ragazzini di scuola media sul piazzale dell’ospedale, dove ho cercato di far uscire i degenti del SPDC: non ci sono riuscito completamente, ma ho sentito parole importanti pronunciate dalla Direzione per il superamento della contenzione e con me le hanno sentite tutte le persone che mi stavano attorno e a cui ho affidato il compito di vegliare.

Mi ha commosso la musica nel cuore della cultura della città, l’università bellissima ed accogliente, accanto a un luogo che dovrebbe esserlo altrettanto se non ancora di più, il CPS, perché si apre a chi soffre nell’anima e non riesce a trovare pace. Qui, come sempre ovunque io vada, ho reso visibile l’invisibile: la vergogna di un luogo indignitoso, quasi un pezzo di città bombardata, senza presente e senza futuro. Ho ricordato con la mia storia, con le sofferenze di cui sono portatore, che la mia è una storia di liberazione, di una rivoluzione culturale, sociale e medica che ha cambiato il modo di rapportarsi alla salute mentale, alla malattia e alla cura. E ho alzato forte il nome di Franco Basaglia, perché lo apprendessero i più giovani ma anche lo ricordassero coloro che l’hanno ingiustamente dimenticato.

Mi ha commosso la musica potente dei fiati sotto le finestre del carcere, perché anche i detenuti sentissero attraverso il suono la mia presenza liberatrice accanto a loro. E a loro vorrei dire che non sono soli: assieme a me ci stavano studenti e professori, uomini e donne, italiani e stranieri, operatori e cittadini, che si stanno impegnando perché le mura che chiudono il carcere al resto del mondo siano meno potenti, meno laceranti, più trasparenti. E cercano di costruire una città più solidale e una giustizia meno punitiva, capace di vedere l’uomo sempre, anche in fondo al buco nero del crimine, e di dar vita a percorsi umani di cambiamento.

Vorrei che gli uomini lì racchiusi sapessero che ho ascoltato i loro pensieri e desideri e ricordassero sempre che io testimonio la possibilità del ritorno alla vita.
E poi vorrei ringraziare tutta la città che mi ha accolto festosamente: la musica della banda, le bandiere colorate, l’amico sui trampoli, il sole e la luna, tanti ragazzi e ragazze e tante persone, che spesso non mi avevano mai conosciuto ma hanno ascoltato il mio richiamo e sono venuti, per accompagnarmi in corteo, o mi hanno sostenuto con il loro calore ai lati delle vie.

Con me ho portato il mio vento triestino che tanto amo, la bora: voi non l’avete udito, perché viaggiava racchiuso dentro i miei polmoni; ma ho parlato con i vostri venti di lago, che mi hanno assicurato di ripetervi il mio nome quando soffieranno…Marco Cavallo…

marco cavallo…marco cavallo… A Lecco, ma anche a Bellano, dove sono andato in un bellissimo pomeriggio di sole e ho visto il colore che tanto amo: l’azzurro del lago e quello del cielo e ho colto l’impegno degli operatori a far crescere l’indipendenza degli ospiti e a restituirli alla vita fuori.

E poi mi hanno raccontato di ospiti e di amici, che hanno riempito un pomeriggio di teatro, danza e musica, anzi musiche: e ho gioito anche se non ho potuto essere presente.
E da ultimo ringrazio insegnanti e capi d’istituto, che hanno creduto in me, e tutte le autorità che mi hanno accolto: in piazza al mio arrivo, al Sevizio Psico-sociale, alla CRA di Bellano, in ospedale, al carcere, in sala consiliare: hanno ascoltato la mia voce e hanno preso degli impegni.

Ricordo loro che gli impegni presi nei confronti delle persone, soprattutto se deboli e indifese, sono sacri e quindi si onorano; ma dico anche ai cittadini che è loro dovere, compito e obbligo etico e civile controllare, impegnarsi e lottare perché vengano rispettati e realizzati, cogliendo la dimensione collettiva e non solo individuale dei bisogni e delle soluzioni.

Vi rammento: Basaglia diceva che ragione e follia sono presenti in ciascuno di noi e che una società è civile quando sa accogliere al suo interno anche la seconda.
Ho un solo rimpianto: non essere riuscito ad entrare nel campo profughi, perchè altri muri oggi si stanno innalzando nelle nostre città, anche nella vostra, in mezzo a voi, terribili come quelli che avevo conosciuto dentro il manicomio di Trieste alla mia nascita.

E anche qui tocca a voi restare umani.
Ma ormai per me è ora di tornare a Trieste. E, se avrete occasione di venire nella mia bella città, venite al San Giovanni a salutarmi: vi accompagnerò a vedere le nostre profumatissime cinquemila rose e a visitare i nostri centri di salute mentale aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7.
Con l’augurio che non sia più una novità neanche per voi, perché li possiate avere nel vostro futuro e bellissimo CPS.

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