L’articolo integrale qui. Wurmkos, laboratorio di arti visive fondato nel 1987 a Sesto San Giovanni, è un luogo aperto che mette in relazione arte e disagio psichico senza porsi obiettivi di “salvezza”, a cui partecipano artisti con o senza disagio psichico, critici e chiunque abbia voglia di abbattere i confini precostituiti e frutto di preconcetti tra ciò che è considerato artistico e ciò che non lo è, tra ciò che si ritiene la normalità e ciò che è considerato pazzia. In questa intervista il fondatore Pasquale Campanella ce ne racconta la genesi e le modalità. “All’inizio dell’esperienza di Wurmkos ho lasciato che chiunque potesse venire a lavorare con me, senza nessuna selezione, e per i primi tre mesi ho lavorato con la gente più incredibile. Alcuni si sono appassionati e hanno continuato a tornare, diventando il gruppo iniziale dei Wurmkos. Per una decina di anni ho portato avanti il mio lavoro artistico e il lavoro di Wurmkos in parallelo, perché avevo ancora bisogno di centrarmi, di capire. In quei dieci anni mi sono messo al loro “servizio”, capivo quali erano le necessità più importanti per loro, gli procuravo tutto ciò di cui avevano bisogno. In pratica il mio ruolo era quello di metterli nella condizione più agiata per fare quello che loro effettivamente volevano fare, mettendo da parte quello che era il mio aspetto più creativo, che consumavo ancora, ma in privato, finché ho realizzato che le due cose erano un’unica entità. È stato un po’ come fare una lunga analisi, ma alla fine è diventato tutto molto più semplice, perché ho capito che anch’io avevo gli stessi loro diritti, anch’io potevo essere creativo come loro e non solo uno strumento per il loro essere creativi fino in fondo, sempre con il rischio di essere additato come uno che strumentalizza la malattia mentale a suo vantaggio. Quello che soprattutto volevo evitare era il rischio di fare come tante operazioni che si fanno ancora oggi e che sono veramente deplorevoli, con l’artista che va a dipingere con i matti e gli fa vedere come si fanno le cose belle… Ma perché questo non accada ci vuole un lungo tempo di crescita, fino a quando si capisce qual è il proprio posto dentro al gruppo, ce lo si guadagna e a quel punto non c’è nessuna paura di fare anche il tuo lavoro, perché sai che è in una dimensione che gioca in modo giusto e che l’altro ti restituirà un altro punto di vista, un altro modo di ragionare con il quale puoi fare i conti con tranquillità. Quindi un percorso di crescita e di emancipazione comune e reciproca. Certamente tutto questo lavoro è servito non solo a me a sistemare il rapporto nel gruppo, ma anche agli altri. Perché anche gli altri hanno lavorato per sentirsi liberi di fare quello che vogliono, consapevolmente rispetto all’altro, anche nello scambio e nel lavoro comune. È chiaro che ci vogliono anni, ci vuole una convinzione enorme, ci vuole il tempo che ti fa crescere in modo giusto. Per me, quando ho capito che le cose potevano stare insieme, è stata una grande conquista, una grande liberazione. E poi tutti hanno capito, l’accusa di “strumentalizzazione” che mi facevano agli inizi è caduta perché non avevano più appigli… Subito dopo la prima mostra ero stato attaccato dai critici, che dicevano che ero il solito artista che stava strumentalizzando i matti, che loro erano un mio ready-made, e perché? Perché abbiamo sempre bisogno di catalogare, di installare, di capire, e invece sarebbe più interessante farlo, il lavoro, invece di capire, perché se lo fai capisci molto di più, e questo diventa una forza, una bella energia. La forza di Wurmkos è quella di essere una dimensione in cui ci sono tanti soggetti, con e senza disagio psichico, artisti e non artisti, ma dove il soggetto, l’individualità non è annientata. Non ci si deve omologare a una comunità: questo è un concetto cardine.” 0 0 Opg chiusi entro gennaio 2017, ma sul futuro pesano le dimissioni del governo II Incontro di Salute Mentale di San Paolo 0 Commenti Lascia una risposta Clicca qui per cancellare la rispostaIl tuo indirizzo email non sarà pubblicato.Commentonome Email Sito web Δ Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
L’articolo integrale qui. Wurmkos, laboratorio di arti visive fondato nel 1987 a Sesto San Giovanni, è un luogo aperto che mette in relazione arte e disagio psichico senza porsi obiettivi di “salvezza”, a cui partecipano artisti con o senza disagio psichico, critici e chiunque abbia voglia di abbattere i confini precostituiti e frutto di preconcetti tra ciò che è considerato artistico e ciò che non lo è, tra ciò che si ritiene la normalità e ciò che è considerato pazzia. In questa intervista il fondatore Pasquale Campanella ce ne racconta la genesi e le modalità. “All’inizio dell’esperienza di Wurmkos ho lasciato che chiunque potesse venire a lavorare con me, senza nessuna selezione, e per i primi tre mesi ho lavorato con la gente più incredibile. Alcuni si sono appassionati e hanno continuato a tornare, diventando il gruppo iniziale dei Wurmkos. Per una decina di anni ho portato avanti il mio lavoro artistico e il lavoro di Wurmkos in parallelo, perché avevo ancora bisogno di centrarmi, di capire. In quei dieci anni mi sono messo al loro “servizio”, capivo quali erano le necessità più importanti per loro, gli procuravo tutto ciò di cui avevano bisogno. In pratica il mio ruolo era quello di metterli nella condizione più agiata per fare quello che loro effettivamente volevano fare, mettendo da parte quello che era il mio aspetto più creativo, che consumavo ancora, ma in privato, finché ho realizzato che le due cose erano un’unica entità. È stato un po’ come fare una lunga analisi, ma alla fine è diventato tutto molto più semplice, perché ho capito che anch’io avevo gli stessi loro diritti, anch’io potevo essere creativo come loro e non solo uno strumento per il loro essere creativi fino in fondo, sempre con il rischio di essere additato come uno che strumentalizza la malattia mentale a suo vantaggio. Quello che soprattutto volevo evitare era il rischio di fare come tante operazioni che si fanno ancora oggi e che sono veramente deplorevoli, con l’artista che va a dipingere con i matti e gli fa vedere come si fanno le cose belle… Ma perché questo non accada ci vuole un lungo tempo di crescita, fino a quando si capisce qual è il proprio posto dentro al gruppo, ce lo si guadagna e a quel punto non c’è nessuna paura di fare anche il tuo lavoro, perché sai che è in una dimensione che gioca in modo giusto e che l’altro ti restituirà un altro punto di vista, un altro modo di ragionare con il quale puoi fare i conti con tranquillità. Quindi un percorso di crescita e di emancipazione comune e reciproca. Certamente tutto questo lavoro è servito non solo a me a sistemare il rapporto nel gruppo, ma anche agli altri. Perché anche gli altri hanno lavorato per sentirsi liberi di fare quello che vogliono, consapevolmente rispetto all’altro, anche nello scambio e nel lavoro comune. È chiaro che ci vogliono anni, ci vuole una convinzione enorme, ci vuole il tempo che ti fa crescere in modo giusto. Per me, quando ho capito che le cose potevano stare insieme, è stata una grande conquista, una grande liberazione. E poi tutti hanno capito, l’accusa di “strumentalizzazione” che mi facevano agli inizi è caduta perché non avevano più appigli… Subito dopo la prima mostra ero stato attaccato dai critici, che dicevano che ero il solito artista che stava strumentalizzando i matti, che loro erano un mio ready-made, e perché? Perché abbiamo sempre bisogno di catalogare, di installare, di capire, e invece sarebbe più interessante farlo, il lavoro, invece di capire, perché se lo fai capisci molto di più, e questo diventa una forza, una bella energia. La forza di Wurmkos è quella di essere una dimensione in cui ci sono tanti soggetti, con e senza disagio psichico, artisti e non artisti, ma dove il soggetto, l’individualità non è annientata. Non ci si deve omologare a una comunità: questo è un concetto cardine.”