Noi, i rivoluzionari della psichiatria

Quanti sguardi ha incontrato Franco Basaglia. Quanti visi. Quante bocche. Tante voci. Tanti silenzi. Mondi paralleli, asettici, svuotati di qualsiasi umana pietà. Erano questo i manicomi. Degli sgabuzzini dove nessuno voleva entrare, dei non-luoghi. I matti, che li abitavano come in un esilio perenne, improvvisamente perdevano ogni diritto umano, assorbiti da una condizione degradante che li assimilava a dei randagi. Da quei corridoi bianchi e da quei cancelli che separavano il mondo dei vivi da quello dei folli, le persone ordinarie volevano tenersi lontane. Tutte. Tranne Franco Basaglia, che per il nostro Paese è stato molto più di uno psichiatra. Nei suoi occhi profondi aveva custodito tante storie e, partendo dalla dignità dei suoi pazienti, aveva ripensato a come si potesse restituire decoro a tutte quelle vite strappate alla normalità.
Il 13 maggio 1978 è stata promulgata una Legge che porta il suo nome e che per molti è il simbolo di una grande trasformazione. La 180 è stata la prima e unica legge quadro che ha imposto la chiusura dei manicomi e che ha regolamentato il Tso (il Trattamento sanitario obbligatorio, ndr), rendendo l’Italia il primo Paese al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici. A raccogliere la preziosa eredità di Franco Basaglia è stato Angelo Righetti, già esperto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Onu, medico specializzato in psichiatria, neurologia, epidemiologia e farmacologia e tra i suoi primi collaboratori, che ci racconta come quella rivoluzione ha cambiato, prima di tutto, lui stesso.

DOMANDA: Professor Righetti, proprio oggi ricorre l’anniversario della Legge 180. Lei è stato uno stretto collaboratore di Franco Basaglia: come ricorda quel 13 maggio 1978?
RISPOSTA: Come una grande vittoria, ma con un retrogusto.
D: Come ha conosciuto il professor Basaglia?
R: A Parma, durante il periodo in cui lui era direttore dell’Ospedale psichiatrico a Colorno.
D: Secondo lei, che cosa lo ha spinto a rivoluzionare gli istituti psichiatrici? Ci sono stati episodi particolari?
R: Basaglia aveva intenzione di modificare lo sguardo e la percezione che si aveva della malattia mentale. Per questo aveva proposto di utilizzare un’osservazione che desse alle persone maggiore importanza rispetto alla loro patologia. Ciò che doveva essere preso in carico erano i bisogni dei pazienti, non quelli della malattia. La sua era una dimensione di cura che cambiava radicalmente il punto di vista della scienza psichiatrica di allora.
D: Perché?
R: Perché questo metodo non era contemplato. Inoltre, modificando lo sguardo mutava anche l’altro aspetto fondamentale delle cure psichiatriche che riguardava la distanza. Tutti la praticavano come sistema inevitabile di cura. Basaglia praticava la complicità, la vicinanza, l’attenzione ai bisogni della persona. Da quel momento è stato completamente modificato il cosiddetto setting delle cure: il trattamento non si costruiva più sulla formalità delle prescrizioni, dell’atteggiamento, delle cose che si conoscevano e che il paziente, invece, non conosceva.
D: Basaglia ha cambiato il suo approccio con il malato eliminando tutti i tipi di contenzione fisica e le terapie elettroconvulsivanti. Aveva aperto persino i cancelli dei reparti. I pazienti come avevano preso questa trasformazione?
R: Sinceramente i pazienti ne rimanevano molto meravigliati. Osservavano il cambiamento con slancio ma in molti, i più intelligenti, attendevano, mantenendo una certa sospettosità pur nell’entusiasmo di intraprendere una strada nuova. Erano già stati abituati ad essere frustrati tante volte da finte aperture, che poi non avevano una prassi, cioè una pratica effettiva per poter essere mantenute e costruite nel tempo.
D: Che cosa le ha insegnato il Professor Basaglia?
R: Che la dignità delle persone e la ricostruzione dei diritti delle persone sono le cure migliori per i pazienti con malattia, disabilità o altre patologie croniche che durano tutta la vita. Questo, in seguito, è stato dimostrato come vero anche dal punto di vista scientifico, perché allora, proprio dalla scienza, era considerato falso. Le cose sono cambiate tanto, ma chi in quel momento lavorava, pensava e concretamente praticava questa strada doveva farlo armandosi di molto coraggio, perché quella fu davvero una strada nuova, un percorso in cui si abbandonavano le consolanti certezze.

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