Su La Stampa un articolo di Gianluca Nicoletti
“In una società avanzata solamente persone che hanno strumenti professionali specifici possono occuparsi dei disabili mentali, siano insegnanti di sostegno, che educatori o operatori generici. Il contatto con quella che ancora viene percepita come “follia” deve essere mediato dalla conoscenza del problema; il rifiuto a una richiesta, lo sbalzo umorale, una crisi oppositiva… Sono parte integrante del quotidiano di chi abbia dei problemi neurologici, un operatore specializzato sa quali siano le metodologie d’intervento per trattare emergenze del genere, senza dover ricorrere alla violenza o alla coercizione fisica. La brutalità diventa l’unica risposta possibile in una percezione ignorante e antiquata dell’intervento sul disabile, che si pensa debba essere “raddrizzato”, come fosse un discolo o un teppista.
Potranno pure essere previste pene più severe per chi commetta reati di violenza e maltrattamenti all’ interno delle strutture sanitarie, ma non basterà a cambiare le cose. Il problema di fondo è culturale, antico e difficile a demolire. Il disabile psichiatrico non è il frutto di uno “scherzo della natura”, e in base a tale pregiudizio non deve essere destinato alla raccolta differenziata degli individui “a perdere”. Accanto a lui non vanno pensati dei semplici sorveglianti, ma piuttosto dei professionisti che lo affianchino nel suo quotidiano diritto a vivere con dignità e a ricordare al mondo che è un essere umano. “