La malattia mentale è sempre stata un mistero e nei tempi antichi era considerata una sorta di fenomeno soprannaturale, di possessione demoniaca. In epoca moderna, c’è stato uno sforzo per considerare i disturbi mentali come malattie, ma poi quando i ricercatori hanno tentato di capire realmente che cosa era la patologia mentale negli individui hanno trovato poco e moltissimi disturbi o disagi, reali o meno, sono andati a finire nella categoria (generica) Borderline. Tanto per fare un bel minestrone…
Follia, pazzia, sinonimi, contrari, sicuramente due simili che si attraggono, ma non è importante in questo articolo perché non è in corso una disamina sulla differenza etimologica delle due parole, e nemmeno filosofica. Il mio intento (di cuore), in questo momento si dirige in due direzioni: una verso coloro che sono letteralmente accantonati (o parcheggiati) in case di cura psichiatriche o centri ospedalieri psichiatrici che a volte hanno ancora le sembianze di lager, in condizioni igieniche e di salute disumane, perché ritenuti aberrazioni della vita; e l’altra metàverso le persone che incontro nel quotidiano, tenute a briglia (sciolta) in mezzo ad una società che ci stressa più del dovuto.
Quanto malessere che si percepisce, quanta potenziale follia o pazzia si avverte anche solo nella persona che abbiamo accanto sull’autobus o in fila al supermercato. Sguardi abbassati o persi nel vuoto… Bocche semi aperte che si sono disabituate a comunicare, a leggere a osservare tutto ciò che riguarda ogni forma di estetica bellezza. Volti inesistenti deprivati di ogni libertà umana. Il nulla che pervade e permane. Chi è fuori posto? Quelli che sono dentro o quelli che sono fuori? Entrambi nella misura in cui la società – pertanto le istituzioni e la classe politica – non riesce ad accorgersi che le pedine sono completamente fuori centro e che le strutture non sono adeguatamente organizzate e preparate ad accogliere ogni forma di disagio o disturbo. Una cosa è considerare il problema una crisi, e una cosa è considerarlo una diagnosi, perché la diagnosi è un oggetto, la crisi è una soggettività. Inoltre la follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile, dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di allontanarla da sé. La storia non è poi così cambiata quando parliamo di una società che dovrebbe essere fondata su un umanesimo dove la centralità è l’essere umano.
Rimango dell’idea che i veri pazzi, come cantava Vecchioni, sono fuori (e non è colpa loro), quelli veramente che avrebbero bisogno non chiedono aiuto e non vengono aiutati in un processo di presa di coscienza. Come non ricordare, a tal proposito, Franco Basaglia conosciuto nel secolo scorso, per la battaglia condotta negli anni ’70 volta a chiudere l’orrenda istituzione manicomiale.
La metà delle persone che erano in queste strutture soffriva di un qualche disturbo mentale, ma l’altra metà era gente considerata scomoda nella città: personaggi politici, senza-tetto, orfani, omosessuali…
E in questo 50%, davvero pochi soffrivano di gravi problemi, bensì la maggior parte era affetta da semplici depressioni. Ma tutti venivano trattati come bestie, allo stesso modo; costretti a passare le loro giornate chiusi in una stanza e senza poter fare nulla, privati perfino delle posate per mangiare e di quel minimo di intimità che dovrebbe essere concessa ad un essere umano.
Egli ebbe il coraggio di applicare un moderno metodo terapeutico consistente nel non considerare più il malato mentale alla stregua di un individuo pericoloso, ma al contrario un essere del quale devono essere sottolineate, anziché represse, le qualità umane.
Il malato deve pertanto sentirsi in continui rapporti con il mondo esterno (con le dovute attenzioni ovviamente), in quanto gli deve essere permesso di dedicarsi al lavoro e al mantenimento dei rapporti umani. Questa è quella chi io chiamosana “antipsichiatria”, che prende spunto dall’infelice situazione propria dei suddetti ospedali psichiatrici e che si oppone alla psichiatria tradizionale che ha sempre giocato un ruolo, anche involontario, nell’esclusione sociale del malato mentale. Colui che va escluso, etichettato, timbrato e spedito come un pacco postale e puff… Un numero privo di qualsiasi dignità morale. Trovo tutto ciò di una crudeltà inafferrabile. Ovviamente, grazie al cielo, non tutti gli psichiatri sono così, in tanti lottano come veri eroi moderni.
Vorrei anche io aprire quei cancelli dove sono confinati i cosiddetti pazzi, e farli uscire, dando loro la possibilità di essere seguiti e abbracciati da spalle forti e competenti, dando luogo ad una comunità libera che vede e si approccia al malato con una forma di rispetto del tutto nuova, rivoluzionando un sistema di pensiero ancora antico dove non si guarda in faccia la persona quando si presenta da un “professionista della mente”. A volte, si apre il manuale dei disturbi psichiatrici, lo si fa parlare dei suoi sintomi e parte la marchiatura a caldo che rimane impressa per tutta la vita. Magari sbagliando diagnosi. Qual è il risultato? Il normale, che presenta un disagio momentaneo dovuto a fattori scatenanti oggettivi, si convince di essere malato sul serio (anche quando non lo è), comportandosi da tale.
I veri pazzi sono fuori… Perché non hanno la percezione di riuscire a scoprire tramite gesti, o episodi di ordinaria quotidianità, nell’ambito familiare la loro natura malata.Difatti sono tanti gli episodi di cronaca nera che riportanopersone “apparentemente” sane a commettere omicidi, crimini terribili e quant’altro. E quando succede tutto questo, misticamente, durante le interviste post delitto a familiari, vicini di casa, conoscenti che, in maniera stupefatta, raccontano la loroincredulità di questi atti di ordinaria follia compiuti da questi (veri) pazzi.
Tutto questo è anche il risultato della “strumentalizzazione”, da un punto di vista sociologico, di una società dove a prevalere è sempre l’avere, a discapito dell’essere. Dove la rincorsa ad un accumulare un successo effimero, istantaneo, provvisorio, di qualsiasi tipo, porta le persone emotivamente più fragili a un crollo della propria immagine di sé perché non riescono a tenere la camminata veloce.
Si parla tanto, oggi in Italia, di preservare la dignità e la cittadinanza dei folli quando poi si risponde con la soluzione di un ricovero coatto (T.S.O. trattamento sanitario obbligatorio).
Mancano coerenza e comunanza di intenti collettive.
Vorrei concludere con questo trailer tratto dal film-documentarioOrizzonte del Mare: il viaggio di due uomini, Maurizio e Massimo, alla scoperta delle verità presenti oggi nella psichiatria, buone e cattive prassi, con interviste e incontri per aprirci la mente e allargare l’orizzonte del nostro sapere.