Un amplificatore dei disturbi mentali. Il carcere può alimentare una sorta di “circolo vizioso della sofferenza psichica”: l’isolamento e la mancanza di contatto con l’esterno, insieme allo shock della detenzione, possono facilitare la comparsa o l’aggravarsi di un disagio psichico che può essere gia’ diagnosticato o ancora latente. I numeri sono allarmanti: più di 42 mila detenuti italiani – il 77% degli oltre 54 mila totali – convivono con un disturbo mentale: dai disturbi della personalità alla depressione, fino alla psicosi. Disagi che possono portare a conseguenze estreme come l’autolesionismo (circa 7 mila episodi in un anno) o il suicidio (43 casi e oltre 900 tentativi solo nel 2014). Mettere un freno al “circolo vizioso della sofferenza psichica” e introdurre un nuovo approccio integrato nella gestione dei disturbi mentali in carcere, sviluppando un percorso applicabile in tutti gli istituti penitenziari italiani, sono gli obiettivi principali del progetto “Insieme – La Salute mentale in carcere”: l’iniziativa e’ promossa dalla Societa’ Italiana di Medicina e Sanita’ Penitenziaria, dalla Societa’ Italiana di Psichiatria e dalla Societa’ Italiana di Psichiatria delle Dipendenze con il supporto incondizionato di Otsuka. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, che si celebra in tutto il mondo lunedi’ 10 ottobre, gli esperti lanciano l’allarme sulla gestione dei disturbi mentali nelle carceri italiane e indicano la strada per permettere ai detenuti di avere le stesse opportunita’ di cura e di assistenza di cui godono i pazienti al di fuori dei penitenziari. Il progetto Insieme individua cosi’ un nuovo Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale, si propone di integrare le diverse figure professionali che lavorano all’interno delle prigioni e di assicurare una continuità terapeutica-assistenziale anche dopo la scarcerazione. Il carcere: focolaio di malattie mentali. Dalla depressione alla psicosi, passando per i disturbi della personalita’. Il panorama delle malattie mentali nelle carceri italiane e’ molto variegato, con una prevalenza nettamente piu’ alta rispetto a quella che si registra nella popolazione generale. Se fuori dal carcere, ad esempio, i disturbi psicotici si riscontrano nell’1% delle persone, dietro le sbarre la percentuale sale al 4%. Piu’ alti sono anche i numeri della depressione: nei detenuti la prevalenza si attesta intorno al 10% contro il 2-4% della popolazione generale. Inoltre piu’ della meta’ dei reclusi, il 65%, convive con un disturbo della personalita’, una percentuale dalle 6 alle 13 volte superiore rispetto a quella che si riscontra normalmente (5-10%). Al disagio mentale, infine, si sommano spesso i disturbi da sostanze stupefacenti, che tra i detenuti hanno una frequenza 12 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale (48% contro 4%). L’isolamento e la mancanza di contatti verso l’esterno possono favorire la comparsa o l’aggravarsi delle malattie mentali, finendo per alimentare il “circolo vizioso della sofferenza psichica”. “La perdita improvvisa di libertà e lo shock derivante dalla detenzione sono tutti traumi che incidono sulla psiche dei detenuti, che non sempre hanno la forza interiore di reagire. Da non sottovalutare poi l’impossibilita’ di comunicare con l’esterno: si passa da un ‘fuori’ che oggi e’ caratterizzato da comunicazione immediata e social, ad un ‘dentro’ il carcere, dove la persona si trova improvvisamente tagliata fuori dal mondo, senza possibilità di parlare con amici e parenti, senza cellulare o internet. Così i suoi contatti sono limitati ai colloqui con il proprio avvocato, con la famiglia e a qualche programma televisivo. Si tratta di esperienze che a livello psichico possono lasciare segni molto forti, trasformando il carcere in luogo dove possono nascere ed esplodere problematiche di tipo psichiatrico”, commenta Luciano Lucani’a, Presidente della Societa’ Italiana di Medicina e Sanita’ Penitenziaria. Verso un nuovo approccio integrato. “Un armamentario terapeutico spesso obsoleto, carenza di percorsi di assistenza e di riabilitazione, collegamenti non adeguati con il territorio, che non facilitano il reinserimento dopo la reclusione: oggi sono forse questi- afferma Claudio Mencacci, presidente della Societa’ Italiana di Psichiatria- gli ostacoli piu’ ingombranti nella gestione dei disturbi mentali in carcere. Problematiche che derivano da diversi fattori, come ad esempio la scarsa integrazione delle figure professionali e la mancanza di dati epidemiologici precisi relativi al disagio mentale tra i detenuti. È quindi cruciale dare vita ad una nuova visione della psichiatria penitenziaria ed e’ proprio questo l’obiettivo che si pone l’iniziativa ‘Insieme – Salute mentale in carcere”. 0 0 Robe da matti: di corsa per la salute mentale da Verbania a Torino Napoli: dimezzati i centri di salute mentale 0 Commenti Lascia una rispostaIl tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commentonome Email Sito web Δ Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
Un amplificatore dei disturbi mentali. Il carcere può alimentare una sorta di “circolo vizioso della sofferenza psichica”: l’isolamento e la mancanza di contatto con l’esterno, insieme allo shock della detenzione, possono facilitare la comparsa o l’aggravarsi di un disagio psichico che può essere gia’ diagnosticato o ancora latente. I numeri sono allarmanti: più di 42 mila detenuti italiani – il 77% degli oltre 54 mila totali – convivono con un disturbo mentale: dai disturbi della personalità alla depressione, fino alla psicosi. Disagi che possono portare a conseguenze estreme come l’autolesionismo (circa 7 mila episodi in un anno) o il suicidio (43 casi e oltre 900 tentativi solo nel 2014). Mettere un freno al “circolo vizioso della sofferenza psichica” e introdurre un nuovo approccio integrato nella gestione dei disturbi mentali in carcere, sviluppando un percorso applicabile in tutti gli istituti penitenziari italiani, sono gli obiettivi principali del progetto “Insieme – La Salute mentale in carcere”: l’iniziativa e’ promossa dalla Societa’ Italiana di Medicina e Sanita’ Penitenziaria, dalla Societa’ Italiana di Psichiatria e dalla Societa’ Italiana di Psichiatria delle Dipendenze con il supporto incondizionato di Otsuka. In occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, che si celebra in tutto il mondo lunedi’ 10 ottobre, gli esperti lanciano l’allarme sulla gestione dei disturbi mentali nelle carceri italiane e indicano la strada per permettere ai detenuti di avere le stesse opportunita’ di cura e di assistenza di cui godono i pazienti al di fuori dei penitenziari. Il progetto Insieme individua cosi’ un nuovo Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale, si propone di integrare le diverse figure professionali che lavorano all’interno delle prigioni e di assicurare una continuità terapeutica-assistenziale anche dopo la scarcerazione. Il carcere: focolaio di malattie mentali. Dalla depressione alla psicosi, passando per i disturbi della personalita’. Il panorama delle malattie mentali nelle carceri italiane e’ molto variegato, con una prevalenza nettamente piu’ alta rispetto a quella che si registra nella popolazione generale. Se fuori dal carcere, ad esempio, i disturbi psicotici si riscontrano nell’1% delle persone, dietro le sbarre la percentuale sale al 4%. Piu’ alti sono anche i numeri della depressione: nei detenuti la prevalenza si attesta intorno al 10% contro il 2-4% della popolazione generale. Inoltre piu’ della meta’ dei reclusi, il 65%, convive con un disturbo della personalita’, una percentuale dalle 6 alle 13 volte superiore rispetto a quella che si riscontra normalmente (5-10%). Al disagio mentale, infine, si sommano spesso i disturbi da sostanze stupefacenti, che tra i detenuti hanno una frequenza 12 volte maggiore rispetto a quella della popolazione generale (48% contro 4%). L’isolamento e la mancanza di contatti verso l’esterno possono favorire la comparsa o l’aggravarsi delle malattie mentali, finendo per alimentare il “circolo vizioso della sofferenza psichica”. “La perdita improvvisa di libertà e lo shock derivante dalla detenzione sono tutti traumi che incidono sulla psiche dei detenuti, che non sempre hanno la forza interiore di reagire. Da non sottovalutare poi l’impossibilita’ di comunicare con l’esterno: si passa da un ‘fuori’ che oggi e’ caratterizzato da comunicazione immediata e social, ad un ‘dentro’ il carcere, dove la persona si trova improvvisamente tagliata fuori dal mondo, senza possibilità di parlare con amici e parenti, senza cellulare o internet. Così i suoi contatti sono limitati ai colloqui con il proprio avvocato, con la famiglia e a qualche programma televisivo. Si tratta di esperienze che a livello psichico possono lasciare segni molto forti, trasformando il carcere in luogo dove possono nascere ed esplodere problematiche di tipo psichiatrico”, commenta Luciano Lucani’a, Presidente della Societa’ Italiana di Medicina e Sanita’ Penitenziaria. Verso un nuovo approccio integrato. “Un armamentario terapeutico spesso obsoleto, carenza di percorsi di assistenza e di riabilitazione, collegamenti non adeguati con il territorio, che non facilitano il reinserimento dopo la reclusione: oggi sono forse questi- afferma Claudio Mencacci, presidente della Societa’ Italiana di Psichiatria- gli ostacoli piu’ ingombranti nella gestione dei disturbi mentali in carcere. Problematiche che derivano da diversi fattori, come ad esempio la scarsa integrazione delle figure professionali e la mancanza di dati epidemiologici precisi relativi al disagio mentale tra i detenuti. È quindi cruciale dare vita ad una nuova visione della psichiatria penitenziaria ed e’ proprio questo l’obiettivo che si pone l’iniziativa ‘Insieme – Salute mentale in carcere”.