Tso: nuovi punti di vista

Dall’Huffington Post:

 

L’ospedalizzazione forzata che le norme permettono, questa l’accusa, dovrebbe avvenire in via eccezionale e solo dopo la proposta motivata di un medico, la convalida di un medico del Servizio sanitario nazionale, l’ordinanza del sindaco, la successiva convalida del giudice tutelare. E invece, sempre stando a quanto riferito da alcuni ex pazienti, l’eccezionalità del Tso sarebbe un po’ troppo frequente. Diverse persone raccontano di essersi trovate in un reparto di psichiatria senza un reale problema psichico.

“In realtà sono testimonianze in parte spiegabili. Le persone che necessitano di Tso sono caratterizzate anche e necessariamente dalla mancata consapevolezza del problema”, spiega il Dottor Gabriele Mandarelli, psichiatra clinico e forense e studioso della materia. “Nelle fasi di scompenso non si sa di certo di rappresentare un rischio concreto per sé o per altri”. E invece i pazienti mostrano un quadro alterato, nella maggior parte dei casi da schizofrenia, altre forme di psicosi e disturbi affettivi.

Sono 9.102 le persone sottoposte a Tso nel 2014, ultimo anno per cui l’Istat ha fornito una rilevazione. 3.351 i casi al Nord, 1.698 al Centro, 2.367 al Sud e 1.686 nelle isole, con un record in Sicilia, regione che da sola ha toccato quota 1.336, il 6,8% del totale. “Non è da escludere che in alcune aree del Paese il ricorso al Tso sia maggiore che in altre” chiarisce ancora il Dottor Mandarelli. La ragione, però, non va cercata per forza in un errore del medico, che certo non mira a danneggiare il paziente. Può piuttosto accadere che alcuni contesti siano più disagiati e problematici di altri e che, in determinati territori, si avverta una vera e propria richiesta sociale di controllo dei comportamenti devianti. Ci si aspetta, cioè, l’intervento dello psichiatra. E non solo da parte dei cittadini, ma anche della giurisprudenza, che in diversi casi ha rimarcato la posizione di garanzia del medico, quindi l’obbligo di intervento, anche nel senso del Tso”.

“Si deve partire dal presupposto che il Tso, quando rispetta la legge, è una tutela per il paziente”, afferma la Dottoressa Eleonora De Pisa, responsabile del Servizio psichiatrico di diagnosi e cura dell’ospedale Sant’Andrea di Roma. “Il Tso si rende assolutamente necessario quando la persona è esposta a un pericolo concreto per la vita o l’incolumità e non ne ha consapevolezza. È il caso, per esempio, delle ideazioni suicidarie violente e degli stati deliranti allucinatori. In altre ipotesi, il provvedimento non è strettamente necessario ma può risultare utile: basti pensare a una patologia già accertata e al rischio di fuga, suicidio, aggressività o interruzione di una terapia farmacologica”. Ma è possibile che la misura venga usata impropriamente o più del dovuto? “Sì, purtroppo non possiamo escludere gli abusi. Proprio per questo sono importanti le funzioni del sindaco e del giudice tutelare. Sono loro a dover fare da garanti dei provvedimenti, a dover vigilare. E poi è fondamentale che i Servizi di Salute Mentale siano ben organizzati. L’improvvisazione è nemica del nostro lavoro”.

La sorpresa del Tso dopo un banale litigio: “Così ho vissuto un sequestro di persona”
La vita di Patrizia si attorciglia in se stessa quasi dieci anni fa. “Ero al centro della piazza del paese, incontrai il fratello di una donna con cui avevo litigato. Lei mi aveva trascinato in tribunale, ma ero stata assolta. Così, in piazza, dissi a quell’uomo che sua sorella era una calunniatrice. Fu la fine: lui rispose che ero da ricovero e chiamò i carabinieri. Ne arrivarono quattro, insieme a due medici”, racconta Patrizia. “Uno dei due medici si fece convincere dai carabinieri, finì per sostenere la necessità di un Accertamento sanitario obbligatorio. Così mi presero e mi portarono in Pronto soccorso. Lì guardai il dottore e senza che dicesse nulla capii: era finita”.

Scatta il Trattamento sanitario obbligatorio, quello che secondo Patrizia è nient’altro che un sequestro di persona. “Non c’era una ragione, non ci fu mai una vera visita, né colloqui quotidiani: solo quello che considero un interrogatorio brutale. Poi chiedevo di poter parlare con un avvocato e non ricevevo risposta. Speravo di poter usare il cellulare e non riuscivo a comunicare con l’esterno. Volevo informazioni e invece ottenevo farmaci, senza nemmeno rendermene conto”.
Dopo giorni in ospedale arriva una notizia: Patrizia, a cui è stato diagnosticato un disturbo di personalità, potrà tornarsene a casa se accetterà le cure farmacologiche previste. “Ma io rifiutai, tentai di oppormi, vidi il buio. Poi, con un’astuzia, riuscii a tenere con me il telefono più del dovuto e a chiamare due amici e una nipote. Mi trovarono un avvocato, finalmente uscii”.

Qualche anno dopo la vera vittoria: il Tso viene dichiarato illegittimo dal tribunale perché, stabilisce il giudice, “l’alterazione psichica è stata (…) desunta da informazioni e non direttamente constatata”. Eppure la storia non finisce, non ancora. Due anni dopo, un altro ricovero forzato. E anche per questo l’accusa di Patrizia è pesante: “Fu un nuovo sequestro. Io mi rifiutai di prendere la cura. Allora loro mi immobilizzavano e mi imponevano i farmaci”. All’uscita dall’ospedale, l’ennesimo tentativo di ripartire da zero. E l’intenzione di lottare, non solo in tribunale ma nel mondo dell’associazionismo, con Astraresi. “Ci sono diritti fondamentali che sono stati violati. Così, ora mi impegno per chi subisce le stesse ingiustizie che ho subito io”.

“La legge è vaga. Ma il buonsenso del medico permette di evitare gli abusi”
Un’alterazione psichica in corso che mette a rischio il paziente ma che non viene riconosciuta da chi la vive. Questo richiede la legge 833 del 1978 per il Trattamento sanitario obbligatorio. “Purtroppo, però, parlando semplicemente di alterazione psichica, la norma risulta vaga, comporta una certa discrezionalità”, spiega il Dottor Mandarelli, psichiatra e autore di numerose pubblicazioni in materia. “Non si può negare, quindi, il rischio che una disciplina nata nel senso del garantismo fallisca nei propri obiettivi. Ma deve essere chiaro che parliamo di un’eccezione: normalmente, quel rischio è arginato dal buonsenso del medico”.

Una criticità che esiste e rimane, invece, è il fatto che la prima convalida alla proposta di Tso debba provenire da un medico del Servizio sanitario nazionale, ma non necessariamente da uno psichiatra. “Quasi sempre il sì arriva da uno specialista in psichiatria, è vero. Ma non per forza. E anche questo aspetto meriterebbe una considerazione”.
I problemi, spiega Mandarelli, sono comunque più spesso pratici che teorici. “Nelle grandi città è ben difficile assicurare la presenza di tutti gli operatori coinvolti nello stesso momento. A Roma, in particolare, dove vengono praticati in media 3 Tso al giorno, soltanto una pattuglia viene adibita alla gestione di Aso e Tso”.

E proprio alla Capitale il dottor Mandarelli ha dedicato uno studio, per individuare i dati epidemiologici e clinici dei pazienti in questione. “Nel territorio romano, in cui una proposta di Tso su sei viene accolta e un ricovero psichiatrico su 10 costituisce Tso, abbiamo osservato la prevalenza della psicosi (in più del 50% degli eventi) come causa del provvedimento. Seguono, nell’ordine, lo stato d’agitazione e l’alterazione dell’umore di tipo bipolare. Solo un decimo dei Tso dipende, invece, da episodi violenti e aggressività. Infine, in meno di un decimo dei casi abbiamo rilevato tendenza al suicidio, depressione, conseguenze dell’abuso di stupefacenti e altre condizioni”.

39 anni, quasi metà segnati dai Tso. “Io, colpito perché diverso. Ora non ho più paura” 
“Avevo poco più di 20 anni e tornavo da un viaggio in India, completamente catturato dalla cultura del Paese e appassionato di yoga. Mi capitava di camminare a piedi nudi o sotto la pioggia, di fare il bagno al mare anche in inverno, di meditare in luogo pubblico. Niente di malato, niente di pericoloso. Ero solo io”.

Il primo Trattamento sanitario obbligatorio, racconta Thomas, arriva così: “Mi avevano visto in giro, hanno telefonato a mia madre. L’hanno convinta che in me c’era qualcosa di sbagliato. È allora che sono scattati l’Accertamento sanitario obbligatorio e poi il Tso, con una diagnosi di schizofrenia delirante mistica ma senza una vera visita”. Uno, due, 15 ricoveri in una vita. “Un giorno decisi di intraprendere un cammino spirituale a piedi scalzi. Come si fa a Santiago de Compostela, io volevo fare in Italia. Ma non mi lasciavano: ogni volta che partivo mi fermavano e c’era un ricovero”.
Allora era un ragazzo, oggi è un uomo. Sono passati 20 anni. “Ho vissuto la parte più oscura della psichiatria, ho tremato, balbettato, imboccato i miei vicini di letto. Ho amici che si sono risvegliati in un reparto psichiatrico dopo un banale litigio in famiglia, dopo un’incomprensione con il fidanzato. Amici che, per quest’incubo, convivono con l’impotenza. Altri che sono stati colpiti nelle loro fragilità e, anziché vincerle, se ne sono fatti schiacciare”.

Thomas ce l’ha anche con il personale medico, che accusa di averlo privato dei suoi diritti. “Anche in un Tso i pazienti devono poter discutere le cure da seguire, vedere il proprio avvocato, parlare al telefono quando lo desiderano. E invece a me tutto questo non è stato concesso”. Ma la speranza non è persa. “No, anzi, mi pare che i medici più giovani riescano a intervenire meglio, siano più preparati. Alcuni sono perfino venuti a cercarmi e mi hanno proposto di organizzare un corso di yoga-terapia per chi soffre. Proprio a me, dopo tutto quello che è stato, dopo quel che mi hanno diagnosticato e che ho subito, hanno detto che potrei essere d’aiuto agli altri”, conclude Thomas, ironico e in fondo felice.


“Improvvisazione e scarsa organizzazione assistenziale sono un problema. Ma un Tso gestito bene non è un abuso, è un aiuto. Inevitabile”

“Un Tso eseguito senza i pareri clinici di due medici e senza la visita prescritta è di fatto un abuso”, chiarisce subito la psichiatra Eleonora De Pisa. “Sta al sindaco e al giudice evitare tali abusi, vigilare sul provvedimento, confrontarsi con i diversi operatori impegnati, aprire tavoli tecnici multidisciplinari”.

A monte c’è il ruolo decisivo del personale medico che, afferma De Pisa, dovrebbe essere preparato a muoversi in un terreno tanto scivoloso. “E invece i casi più controversi di Tso, gli episodi di malpractice, sono spesso riconducibili ai difetti di organizzazione assistenziale e all’improvvisazione negli interventi”. Si devono considerare, però, anche i disagi causati dal blocco del turnover e dei concorsi. Così come gli anni duri della crisi economica: “Il disagio sociale è aumentato – spiega infatti la dottoressa – e non mancano situazioni-limite, come la perdita della casa e del lavoro”.
Gestire tutto questo è delicato, preparazione e sangue freddo sono prerequisiti. “Formiamo i nostri medici specializzandi all’intervento di de-escalation: i ragazzi frequentano l’Spdc, imparano a evitare le aggressioni e a calmare i pazienti”. Necessari anche una valutazione a posteriori dell’intervento e un aggiornamento continuo dello staff: “Aggiornarsi è indispensabile – spiega infatti De Pisa – perché la paura di chi non è formato è un nemico feroce, fa agire mossi da sentimenti negativi anziché secondo prassi e procedure consolidate”.

E che i rischi siano in agguato lo documentano, del resto, gli epiloghi più tragici del Tso, storie dure da leggere e impossibili da comprendere: “Alcune procedure, come quella di ammanettare il paziente e porlo a pancia in giù su una barella, sono contrarie a qualsiasi norma, anche di buon senso. In quei momenti l’agitazione è così violenta che già di per sé esiste un rischio cardiovascolare: aumentarlo con procedure insensate non fa che elevare la possibilità di eventi fatali”.

Organizzazione, formazione, lucidità. Ma non solo: anche prevenzione sul territorio, investimento nelle cure ambulatoriali e attenzione alle esigenze di organico. “In territori molto ampi e con carenze di personale accade che i malati più gravi accedano alle cure solo in occasione dello scompenso che li porta in ospedale”, precisa De Pisa. E conclude: “Nessun Tso motivato e ben gestito lede i diritti del paziente. Anzi, è proprio nell’interesse del paziente essere aiutato a riconoscere un disturbo che non sa vedere”.

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