Rogo del camper, ancora si muore di esclusione sociale e di stigma

Non si può morire così. Questo è stato il mio primo pensiero alla notizia agghiacciante e sconvolgente del rogo del camper nella periferia romana che ha causato la morte di tre sorelle di 20, 8 e 4 anni. Purtroppo, però, non è la prima volta che piangiamo la morte di bambini in un rogo di un camper o di un accampamento di fortuna: a febbraio 2011 quattro bambini erano morti in un rogo dentro un campo rom.

Sia per un incidente, sia a causa di una mano assassina, l’argomento all’ordine del giorno è che non si può né vivere né morire così: il pregiudizio, l’odio, l’intolleranza portano a tragedie come quella di Centocelle.

A Roma, come in tante altre parti d’Italia, si continua a morire di esclusione sociale e di stigma. Nella nostra società si moltiplicano le zone grigie, dove vivono gli ultimi, gli esclusi, i vulnerabili, gli invisibili. Aumentano, sempre di più, le persone che sopravvivono ai margini di un mondo che, ogni giorno che passa, tende a chiudersi e dimenticare valori fondamentali come la solidarietà.

E troppo spesso ci sono etichette che vengono usate per indicare gruppi di persone come fossero “cause perse” o peggio come se la loro situazione non potesse migliorare, essendo messi ai margini. Sto parlando delle popolazioni di etnia rom e sinti, come dei senza fissa dimora, dei nuovi poveri o dei migranti fuori dai percorsi di integrazione: c’è bisogno di lavorare su una società più coesa e solidale, dove ci siano sia regole e sicurezza sia inclusione e ascolto.

Noi tutti sappiamo che ci sono migliaia di persone che vivono nell’ombra, eppure la società civile se ne accorge e apre dibattiti solo dopo fatti drammatici. Oggi, come nel 2011, voglio ribadire a nome della Croce Rossa Italiana che le zone grigie della nostra società sono la nuova frontiera della vulnerabilità e proprio per questo i nostri volontari hanno aumentato negli anni i servizi, come le unità di strada.

Oggi più che mai è importante creare una maggiore integrazione e percorsi formativi e scolastici per tutti quei vulnerabili che vivono ai margini delle nostre città. Serve uno scatto delle coscienze, un’apertura dei cuori, non è più possibile accorgersi di queste ordinarie storie di disperazione solo quando drammaticamente diventano casi di cronaca: è necessario un passo in avanti anche dal punto di vista culturale per coinvolgere la società civile nel volontariato e nei percorsi di inserimento dei vulnerabili.

Oltre al volontariato, però, anche le Istituzioni devono fare la loro parte. Invece di versare lacrime amare dopo le tragedie, le Istituzioni dovrebbero moltiplicare gli sforzi per supportare chi è più vulnerabile e ha bisogno di aiuto.

In una società dove la paura del diverso e dell’altro sta sempre più prendendo piede, c’è bisogno di un impegno forte e concreto da parte delle Istituzioni per garantire ai cittadini gli standard di sicurezza, evitando però di lasciare indietro gli invisibili. Oggi piangiamo le tre sorelle morte in un camper, ma servono azioni concrete per evitare drammi di questo tipo nel futuro.

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