Bologna, 16 agosto 2015
Al Ministro della Salute On.le Beatrice Lorenzin
ROMA
Gentile Signora Ministro,
ancora una volta, nel nostro Paese, a Torino, un giovane muore di trattamento sanitario obbligatorio, in un modo violento e orribile per mano di chi avrebbe dovuto tutelare la sua salute, di chi avrebbe dovuto accogliere e comprendere. Andrea Soldi stava seduto nella sua solita panchina, in piazza, e un vigile (che doveva eseguire un TSO e non una operazione di polizia) lo ha bloccato con una manovra violenta al collo, prendendolo di sorpresa alle spalle. Sembra che non volesse assumere i farmaci che gli erano stati prescritti dal centro di salute mentale e per questo, i sanitari, hanno attivato un trattamento sanitario obbligatorio (non sappiamo se correttamente autorizzato dal sindaco e convalidato dal giudice tutelare, e se il TSO, come prescrivono le norme, è stato preceduto da una serie di interventi di ordine sanitario e psicologico per comprendere le eventuali difficoltà della persona, le sue ragioni, i suoi bisogni, la possibilità di aderire volontariamente alle cure come le norme prescrivono). E’ stato bloccato come se si trattasse di un pericoloso criminale da catturare, caricato sulla barella ammanettato e in posizione supina (nonostante l’opposizione del personale del 118). In ospedale è giunto cadavere Alcuni giorni prima, un altro giovane di 33 anni, Mauro Guerra, in una cittadina in provincia di Rovigo, mentre tentava di evitare un trattamento sanitario obbligatorio, scappa scalzo e in mutande per le campagne, viene fermato da un colpo di pistola e muore. Noi che rappresentiamo le associazioni delle famiglie e delle persone che vivono la condizione della sofferenza mentale, impegnate nelle diverse regioni d’Italia, e che ci battiamo ogni giorno per il rispetto del diritto alla salute mentale e per il rispetto della dignità umana, non possiamo tollerare ulteriormente che accadano simili atrocità e che le famiglie debbano vivere drammi di queste dimensioni che segnano per sempre la loro esistenza. Noi non possiamo tollerare che interventi di tipo sanitario vengano interpretati e gestiti con modalità aggressive e violente, ledendo i diritti fondamentali della persona umana, la dignità, aggravando lo stato di fragilità psicologica di chi vive la condizione della sofferenza mentale, segnando profondamente le loro vite. Non vogliamo entrare nel merito delle responsabilità penali delle persone coinvolte in queste morti (e in altre precedenti questi due terribili fatti), sarà compito delle Procure accertarle e delle inchieste interne deputate alle ASL di competenze. Vogliamo invece esprimere la nostra ferma opposizione e condanna verso un sistema, oramai routinario, con cui si affronta la questione della non adesione ai trattamenti farmacologici in salute mentale. Perché di questo si tratta. I trattamenti sanitari obbligatori, infatti, non costituiscono più l’extrema ratio come previsto dalla Legge 180 e dalla Legge 833 (che ricordiamo sono ispirate all’art.32 della Costituzione “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”). Si utilizza tale procedura (arbitrariamente) ogni qualvolta le persone che vivono la condizione della sofferenza mentale si rifiutano di assumere i farmaci prescritti, alcune volte per gli effetti collaterali insopportabili o perché contrari all’assunzione di psicofarmaci. E che rispetto umano può esserci in un intervento sanitario compiuto con la violenza e la prevaricazione? Eppure le norme sono chiare e invitano a ricercare in ogni modo il consenso al trattamento. Questo significa dedicare tempo ed energie professionali alla ricerca del consenso, mantenendo sempre una comunicazione paritaria, un rapporto di fiducia, una possibilità di contrattazione parlando con le parole giuste e rassicuranti e con le modalità dell’accoglienza e della comprensione umana. Ma perché questo avvenga, è necessario che i servizi di salute mentale abbiano personale adeguatamente, motivatamente ed eticamente preparato, strategicamente orientato alla recovery. Che le piante organiche siano al completo, che il personale in pensione o in malattia venga immediatamente sostituito. Che siano organizzati e funzionanti i centri di salute mentale sulle 24 ore, capaci di operare in rete e di intercettare i bisogni del territorio, capaci di dialogare con le famiglie e le persone che vivono la condizione della sofferenza mentale per comprenderne appieno i bisogni e proporre (non imporre) soluzioni e percorsi possibili di cura e di ripresa (casa, lavoro, relazioni sociali). Che siano garantiti i finanziamenti necessari al funzionamento dei servizi e ai percorsi individuali di cura e riabilitazione. Che siano garantiti i sostegni alle famiglie. Che nessuno venga abbandonato. Occorrono precise linee guida ministeriali e regionali che chiariscano, una volta per tutte, cosa non si deve fare in psichiatria, quali pratiche vanno definitivamente abbandonate, quali lesive della libertà e della dignità della persona umana, come perseguire anche disciplinarmente chi opera in salute mentale violando le disposizioni di legge. Ripetutamente abbiamo portato alla Sua attenzione, e all’attenzione di tutti i livelli istituzionali nazionali e regionali, la drammatica situazione in cui versano i servizi di salute mentale nella maggior parte del territorio italiano; rappresentando le diverse criticità presenti sul territorio ma anche indicando soluzioni e proposte. Ma le uniche risposte che abbiamo ricevuto sono i continui tagli al settore della Sanità (e quindi anche alla salute mentale) e al Welfare da parte di questo Governo e dei Governi precedenti, e i risultati drammatici sono sotto gli occhi di tutti. Se non si interviene in maniera globale sull’intero sistema, in termini organizzativi, culturali e finanziari, a ben poco servono gli ispettori inviati dal Ministero. Fermo restando quindi che, sulle vicende in questione, chiediamo sia fatta piena luce e individuati i responsabili, sollecitiamo, ancora una volta, l’apertura di un urgente tavolo di confronto con il Ministero sull’intero settore, territoriale e ospedaliero, della salute mentale. Chiamando al tavolo di confronto le regioni e, oltre l’UNASAM, tutte le organizzazioni nazionali impegnate nel campo della salute mentale e nella difesa dei principi fondamentali della Legge 180 e della Legge 833. Chiediamo l’emanazione urgente e immediata di una circolare alle regioni e alle ASL affinchè si vigili sull’operato dei servizi deputati alla cura e alla tutela della salute dei cittadini, con l’indicazione chiara che in nessun modo si può violare la dignità umana. Che i trattamenti sono di norma volontari e che il consenso deve essere “informato”, che legare una persona non è consentito dalla normativa italiana e costituisce quindi reato. Questa è una richiesta forte che Le rivolgiamo e per la quale ci attendiamo da Lei una risposta tempestiva e concreta. Per Sua opportuna conoscenza, Le riproponiamo la nostra relazione presentata al Seminario organizzato dalla Commissione Sanità del Senato il 10 novembre 2014.
Cordiali saluti
La Presidente
Gisella Trincas
Unasam
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