E ora non mi rinchiudere

C’è anche la FISH della Toscana (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) tra i primi firmatari del “Manifesto per la vita libera delle persone con disturbi mentali e disabilità intellettiva, contro il rischio di una nuova istituzionalizzazione”, intitolato “E ora non mi rinchiudere”, che verrà pubblicamente presentato alla fine del mese.

Pubblichiamo il documento interamente:


Il presente documento (“E ora non mi rinchiudere. Manifesto per la vita libera delle persone con disturbi mentali e disabilità intellettiva, contro il rischio di una nuova istituzionalizzazione”) è stato sottoscritto – come riportato anche nell’elenco in calce – dalle reti di secondo livello FISH Toscana
(Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), DIPOI(Coordinamento Toscano delle Associazioni e Fondazioni per il Durante e Dopo di Noi) eCoordinamento Toscano delle Associazioni per la Salute Mentale, oltreché da  numerose Associazioni di genitori di persone con autismo, disabilità intellettive e mentali, ma anche da centri abilitativi, dirigenti di servizi pubblici e altre organizzazioni impegnate contro le discriminazioni.
Esso verrà pubblicamente presentato e discusso nel corso di una conferenza organizzata dall’Associazione Autismo Toscana il 27 febbraio prossimo a Empoli (Firenze), presso la Sala Conferenze dell’Agenzia per lo Sviluppo Empolese Valdelsa (ASEV).

La vita è uguale per tutti
Le persone affette da disturbi mentali (1) e disabilità intellettiva (2) hanno il diritto di avere le stesse opportunità di tutti gli altri cittadini, in termini di libertà di scelta, di rafforzamento della consapevolezza e di controllo sul modo in cui vivono per tutta la durata della loro vita, rispettando i principi di autodeterminazione, libertà, inclusione e partecipazione alla società in cui si trovano a vivere.
È necessario offrire una visione positiva della persona con disabilità intellettiva, cercando di superare il preconcetto secondo cui la disabilità equivale a un problema che comporta una limitazione nella capacità di autodeterminazione. Allo stato attuale, troppo spesso vediamo le persone divenire solamente oggetti di cura e di tutela, quando, al contrario, necessiterebbero di divenire soggetti attivi a livello decisionale.
Risulta fondamentale, per le persone con disabilità, vedersi garantita l’applicazione dei principi di uguaglianza e di pari opportunità sanciti dalla stessa Costituzione, all’articolo 3, che recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
La Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità del 2006, ratificata in Italia con la Legge 18/09, riconosce l’importanza dell’autonomia, dell’indipendenza individuale e della libertà di compiere le proprie scelte, prevedendo interventi di assistenza personale diretta.
Il Coordinamento Toscano delle Associazioni per la Salute Mentale, insieme ad altre Associazioni nazionali, ha prodotto nel 2013 la “Carta di Firenze” nella quale vengono confermati i diritti dei cittadini affetti da problemi di salute mentale.

Liberi di vivere con la famiglia, gli amici, la comunità di appartenenza
In Toscana, come in altre Regioni italiane, si assiste ad un preoccupante ritorno alla progettazione di istituti contenitori per le persone con disabilità intellettiva, contrariamente al divieto imposto dalla Legge 180/78 [“Legge Basaglia”, N.d.R.] e da tutte le linee guida e documenti regionali, nazionali e internazionali.
I progetti, alcuni dei quali già in costruzione, disegnano grandi contenitori, in cui sono destinate ad essere concentrate un numero elevato di persone (a Empoli il progetto è per un istituto da 70 posti, a Pisa è in costruzione un istituto da 100 posti), da costruire in zone periferiche delle città, con all’interno servizi (mensa, lavanderia, piccoli negozi), laboratori, locali e attrezzature per attività sportive e ricreative (campo da calcetto, teatro).
Le persone che saranno costrette ad andare a vivere in uno dei moduli di un istituto di questo genere saranno separate dagli affetti, isolate dalla comunità, costrette a recidere le relazioni intrecciate negli anni, ghettizzate e stigmatizzate, quindi segregate. A ciascuno sarà assegnato un posto in un modulo (modulo A, 3° piano, posto letto 101) e giorno dopo giorno perderà un pezzo di dignità, un pezzo di cittadinanza, un pezzo di identità, fino a non ricordare il proprio nome ed essere un numero di posto, un posto letto.
Il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone può e deve essere garantito attraverso un progetto di vita adeguato ai bisogni e alle caratteristiche di ciascuno, come previsto dalla Legge 328/00. La libertà di scelta implica la disponibilità di un’ampia gamma di opportunità, che possa rispondere alle esigenze e ai desideri di ogni persona, mutevoli nel tempo e legati alle specifiche situazioni di vita. Non esiste un modello perfetto da costruire, «un’utopia astratta che sarebbe solo il riflesso dell’ideologia dominante o di una personale ideologia», ma solo tanti progetti individuali quante sono le persone con disabilità. «Ci interessa sperimentare quali spazi, quali possibilità di utopia sono realizzabili nel concreto dove ognuno vive, a partire dalle particolari risorse e vincoli di questo contesto» (3).
Le risposte devono coprire, senza soluzione di continuità, tutti i bisogni della persona con disabilità, compresa la domiciliarità, a partire dalla vita totalmente indipendente fino alla residenzialità in piccole strutture altamente tutelanti e di qualità, inclusive, non sganciate dal contesto sociale in cui sono situate e totalmente rispettose dei diritti e della dignità delle persone.

La domiciliarità assistita e protetta riassume il metodo di ricerca delle modalità di esercizio del diritto di ogni persona di vivere nel proprio territorio, nel territorio che sente suo, dove è conosciuta e non spostata come una valigia nell’interesse dei servizi che, al contrario, in virtù della necessità di progetti e di percorsi individuali, devono adattarsi alle esigenze delle persone. Ciascuno deve poter scegliere di vivere nell’àmbito di case, appartamenti assistiti, insieme ad altre persone, in famiglie supportate e/o allargate, con l’aiuto dei servizi pubblici, del privato sociale, della collettività, nelle forme coerenti al contesto sociale in cui si realizzano.
Lo Stato, la comunità tutta, hanno il dovere di garantire che «le persone con disabilità abbiano la possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione» (4).

Liberi di lavorare
Il lavoro è un diritto di cittadinanza: fonte di reddito che consente indipendenza, ma soprattutto di realizzazione della persona, di ruolo nella comunità, di dignità. Lavoro vero, inclusivo e riabilitativo.
La Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità riconosce il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione. Per garantire questo diritto occorre perseguire l’obiettivo “la persona giusta al posto giusto”, agendo sulla persona con disabilità per sviluppare al massimo le sue potenzialità ed abilità, rispettandone desideri ed aspettative, ed andando ad agire anche sull’ambiente di lavoro per renderlo accogliente ed inclusivo.
Le esperienze di lavoro vero hanno dimostrato che le persone possono far emergere potenzialità inaspettate. Fra le esperienze di lavoro aperto, la dimensione di una piccola azienda favorisce la nascita di amicizie, affetti, relazioni, scambio di umanità, reciprocità e momenti di ricreazione, in cui le diversità convivono trovando il proprio spazio, in cui ciascuno trova il proprio ruolo e contribuisce alla crescita dell’impresa; in sintesi trova la dignità che soltanto il lavoro può dare a un uomo e a una donna.
Questi uomini e donne, con le loro difficoltà, lavorando trovano posto nella propria comunità, ognuno secondo le proprie possibilità, ognuno con il proprio modo di essere, spesso strano o molto strano. Le persone, seppure con disabilità, saranno uomini e donne che possono vivere a pieno la vita, finalmente cittadini.

Liberi di esprimere desideri e talenti
Ad oggi abbiamo la sensazione che i destini immutabili delle persone con disturbi mentali o disabilità, destinati inevitabilmente verso un istituto, non siano più tali. La persona può vivere nel mondo delle possibilità e provare a giocarsi la sua vita. La sua vita intera e non già pezzetti di essa, frammenti, brandelli che non ricostruiscono mai una storia. È perciò che siamo chiamati, e oggi più che mai, a mettere in campo ogni strumento, ogni risorsa, a partire dal lavoro, che è sicuramente uno strumento formidabile di autodeterminazione, affinché le persone siano in condizione di giocare tutte le loro possibilità, infinite o risicate che siano (5).
A questo proposito è necessario, nel percorso abilitativo della persona, creare le condizioni per individuare al più presto le attitudini individuali che la porti ad un possibile inserimento in percorsi che sfruttino le opportunità di vita che la comunità dove vorrà vivere offre.

Liberi di autodeterminarsi
Le persone con disabilità hanno diritto alla cura, all’abilitazione e alla riabilitazione, per essere in grado di autodeterminarsi.
Le persone con disabilità non necessitano di speciali privilegi, ma della semplice opportunità di poter assumere decisioni e di recuperare il controllo pieno della propria vita privata e intima, presupposto indispensabile per assumere una funzione attiva all’interno della società. Avere il controllo della propria vita rappresenta, per le persone con disabilità, un elemento fondamentale di riconoscimento dei diritti umani.

La diversità è una ricchezza della comunità
La disabilità appartiene a tutti, non può essere concentrata e separata.
È irrinunciabile continuare a lavorare per costruire casa, lavoro, ricreazione nei contesti sociali, con una visione estesa a tutte le disabilità e le diversità, convinti che queste siano una ricchezza per tutti. Pensare di adattare le nostre città, le nostre aziende, le nostre scuole, le nostre vite a chi ha qualche difficoltà in più è complesso, faticoso, ma i risultati sono stati e saranno straordinariamente migliori: una scuola capace di accogliere lo studente disabile sarà sicuramente di ottimo livello anche per gli altri e i ragazzi cresciuti conoscendo anche le stranezze e difficoltà dei compagni saranno più capaci di altri nel lavoro e nella vita.
L’istituto nega i diritti umani delle persone perché le priva di identità, toglie le relazioni sociali, allontana gli affetti, rende inesigibile il diritto al lavoro, spesso anche il diritto alla cura e mette addosso uno stigma inalienabile.
L’istituto illude la comunità di togliersi il fardello della disabilità dalla vista, di non fare i conti con il disagio che genera la diversità, di alleggerire così la coscienza e allontanare la paura riflessa delle proprie debolezze, ma al contrario la stessa collettività si priva del grande patrimonio della diversità che è vita.

 

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