“E vai a spiegare al mondo che l’arte ci libera, ci fa evadere, ci fa guardare dentro, ci fa vedere cose belle e brutte, ci mostra un’altro mondo, bello o brutto, o le due cose insieme, ma distintamente, ma vai a spiegarlo tu, perché i professori non ci riescono, si riempiono la bocca di parole complicate, di frasi ancora più complicate e di un sorriso da borghese che per compassione ti ammira, a patto comunque che tu non dia fastidio come persona.”
Questi sono i miei pensieri, mentre associo alle parole di filosofi e maestri d’arte contemporanea quelle dei soliti pazienti delle SIR pubbliche accompagnati da operatori diligenti ed entusiasti di uscire dalla routine.
“Esiste una zona definita grigia ma in realtà carica di colore (luogo, non linea retta) che delimita il confine antinomico-influenzato dalla reclusione – tra il disagio e la salute mentale, tra la norma e il suo contrario, tra utopia e realtà, e che è caratterizzata dalla possibilità che viene concessa all’Espressione di raccontarsi. Espressione intesa come comunicazione oggettiva di una esperienza individuale, ma anche come frase, azione o parola che possa tradurre il pensiero o il sentimento. O ancora come aprirsi spiegarsi, ed infine rappresentare se stessi.”
Questo invece è il testo scritto di comune accordo da tutti i professionisti che hanno partecipato all’evento culturale, “Arte reclusa” in mostra nel museo PAN di Napoli dal 3 al 15 maggio.
Si discute del diritto a esprimersi quando si è reclusi, in Case Circondariali, nei nuovi Lager per migranti, nelle nuove REMS, nelle vecchie SIR pubbliche o nelle varie Cliniche Convenzionate dove vengono espulsi gli esseri umani, quando danno fastidio alla società contemporanea.
Ognuno di questi luoghi ha nel proprio progetto di base l’idea di RIABILITAZIONE che spesso si traduce in qualche PROGETTO TEATRALE per una minoranza selezionata e più raramente in progetti artistici, come in questo caso.
Il caso però, come dice spesso l’organizzatore Adolfo Ferraro, è quello di un’EVASIONE vera e propria, anche se solamente delle Opere esposte, alcune delle quali assolutamente pregevoli e indistinguibili dagli autori che affollano i Musei di Arte Contemporanea o le Esposizioni Private.
Un cervello in una gabbia nutrito da psicofarmaci, che guarda tristemente dall’alto un cervello libero e dotato di ali, poggiato su una sedia celeste (la tinta di Marco Cavallo, probabilmente), vi accoglierà all’ingresso, mentre le altre opere, astratte o figurate, metafisiche o allegoriche, riempiono le sei pareti della stanza e il breve controsoffitto che le divide, ovviamente coperto da un cielo grassamente stellato.
Esiste un Diritto all’Arte, che oggi viene utilizzato compulsivamente dalle orde vandaliche dei turisti che invadono i musei e i centri storici, producendo un rientro economico da migrazione autorizzata. Esiste un Diritto all’Arte, che oggi viene utilizzato compulsivamente dalle orde di mancati Van Gogh e Artemisia Gentileschi che invadono le Mostre e le Esposizioni di Arte Contemporanea, talvolta producendo un rientro economico eccessivo e pertanto assolutamente degno di nota.
In questo ricco business sarebbe utile far rientrare tutti i Centri Diurni e quelli di Riabilitazione Artistica, che potrebbero produrre alacremente souvenir, mentre i più arditi possono sperare di vendere appunto quadri e sculture decisamente originali e profonde.
Ogni Centro di Salute Mentale in Italia ha i suoi piccoli artisti (anche scrittori e poeti in erba) che mancheranno il successo ma che vivranno di questa ricerca del successo, che contribuisce alla vanità dell’epoca in cui viviamo.
L’arte contemporanea dona quindi un senso a queste vite, modifica la routine del tempo altrimenti segnato solamente dal rituale ossessivo del caffè+sigaretta, e dona un senso agli operatori della Salute Mentale, che sperano di diventare i MECENATE di chissà quale intellettuale tradito dalla maledizione della Malattia Mentale.
Tuttavia l’arte è un DIRITTO inalienabile dell’uomo, che copriva di colore le cave preistoriche prima ancora di saper parlare per spiegare e prima ancora del saper contare, come fanno gli operatori commerciali attratti dal business dell’arte contemporanea.
Venite gente venite, i Freak sono serviti in salsa contemporanea, come tutti quanti gli altri milioni di esseri umani desolati dalla realtà contingente, ma attratti dalla propria fertile immaginazione in mondi lontani dove solamente il tramite dell’arte può farci incontrare nuovamente.
Il Diritto all’Arte allora è un Diritto all’INCONTRO con un altro sempre meno tale, dal momento che lo posso vedere, ascoltare, leggere attraverso la sua interpretazione artistica.