Da Il Tirreno
“Sono un ragazzo un po’ agitato”, dice di sé l’ospite di un ospedale psichiatrico giudiziario. “Sono il più vecchio carcerato d’Italia – continua – sono stato in carcere e Opg, tutti i carceri. Dicono che sono un criminale, poi dicono che non sono in grado di intendere e di volere. Nell’84 mi hanno accusato di aver ucciso una donna che non ho toccato”. Passa in corridoio un uomo grande e grosso, il “terrore di tutti gli istituti penitenziari”. Perché la chiamano così? “Ho ingaggiato una battaglia con la polizia penitenziaria”. “Sto male perché sono sempre chiuso”, aggiunge. E poi c’è un uomo che non ricorda nulla: “Ero in Spagna e poi mi sono trovato in carcere. Non ho cancellato, mi hanno cancellato. Moglie, figli? Che ne so. Non ho nessuno. Non so chi sono, mi hanno dato un nome, io ne ricordavo un altro, ma dicono che fa parte di un delirio”. Una donna racconta: “Ho preso 7mila e 500mila farmaci, me ne bastavano 6mila. Sono dieci anni che me li danno per stare buona. Io sento delle voci, minacce di morte ricevo”.
Voci, occhi a volte persi e a volte così presenti, storie di sofferenza, di isolamento. Arrivano tutte da dentro le mura di strutture che fino al 1975 si chiamavano manicomi giudiziari. Il bel documentario “ Vado fuori – 31 marzo 2015: chiudono per sempre gli ospedali psichiatrici giudiziari ” di Antonella Bolelli Ferrera, promosso dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, ci apre le porte di questi luoghi fotografando il momento in cui dovevano essere, in base alla legge 81 , chiusi definitivamente, esattamente un anno fa, con il trasferimento di tutti gli ex internati nelle residenze regionali per l’esecuzione delle misure di sicurezza, le Rems, più piccole e attrezzate per una riabilitazione.
L’autrice ha raccolto le testimonianze di pazienti, operatori sanitari e polizia penitenziaria che hanno vissuto in questi “luoghi della follia”. Luoghi che, a differenza degli ospedali psichiatrici “civili”, sono rimasti in funzione anche dopo la legge Basaglia del 1978. Racconta come, ad Aversa, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Napoli Secondigliano e Barcellona Pozzo di Gotto, sia entrata “in un mondo segnato dalla sofferenza di un’umanità sconosciuta, che incontra il dolore degli ultimi e la solidarietà, la vicinanza di chi per anni ha dedicato loro la propria vita lavorativa lontano dai riflettori e dal riconoscimento della propria professionalità”.
Un anno dopo Castiglione delle Stiviere è stato riconvertito in Rems, Napoli è stato chiuso il 21 dicembre. Gli altri quattri Opg sono ancora aperti e ospitano circa 90 pazienti-detenuti: 40 a Montelupo Fiorentino (Toscana); 6 a Reggio Emilia (Emilia Romagna), 18 ad Aversa (Campania), 26 a Barcellona Pozzo di Gotto (Sicilia). Ma i numeri continuano a scemare. Un anno fa erano 689, come certificato dalla Relazione dei Ministeri della Salute e della Giustizia al Parlamento . Di questi, circa 550 sono stati trasferiti nelle Rems, un centinaio rimessi in libertà.
Il ritardo delle Regioni ha portato Il 22 febbraio scorso il governo a nominare Franco Corleone commissario per le procedure necessarie al definitivo superamento degli Opg e il completamento delle strutture alternative in Abruzzo, Calabria, Piemonte, Puglia, Toscana e Veneto. Sono previste a breve aperture di Rems in Abruzzo, Piemonte e Calabria, in Veneto e l’aumento della capienza in Toscana. Alla fine di tutto questo percorso ci saranno 30 Rems, “ma servirà un monitoraggio attento per verificare che non vi si riproduca una logica di tipo manicomiale, con strumenti come la contenzione fisica”, dice Corleone.”