Linkiesta, periodico online, pubblica una ricerca storica su come il manicomio sia stato utilizzato, in alcuni regimi totalitaristi, come uno strumento di repressione politica.
“L’utilizzo dei manicomi come arma per reprimere il dissenso, va detto, non è un’esclusiva del regime fascista. Nella carrellata storica, non si può non menzionare la Russia. Uno dei casi più significativi è quello di Marija Aleksandrovna Spiridonova. Sostenitrice e componente del Partito Rivoluzionario Socialista, nel 1906 uccise un ispettore generale di polizia a causa della sua dura repressione degli scioperi agrari. Presa e torturata dalla polizia, fu condannata a 11 anni di lavori forzati in Siberia.
Rilasciata in seguito alla Rivoluzione di Febbraio, partecipò alla Rivoluzione d’Ottobre a fianco dei bolscevichi, ma, nel 1918, fu arrestata dalla Čeka e venne internata per lungo tempo. L’ospedale psichiatrico di Kazan, capitale del Tatarstan, fu il primo dell’URSS in cui avvenivano internamenti a scopi politici. Di 1802 pazienti che morirono tra il 1940 e il 1970, 470 furono internati politici. Solo nella colonia penale n. 5, ramo dell’ospedale psichiatrico di Kazan dal 1956, morirono in 3087.
Tra le diagnosi più frequenti ci sono casi di schizofrenia paranoide, schizofrenia latente e schizofrenia indolente. Da qui potrebbe essere nata l’idea della psichiatria come arma di controllo del dissenso.”