Già nel 1973, una commissione nominata dall’Amministrazione provinciale di Genova e composta da Pier Andrea Mazzoni, Franco Basaglia, Franco Giberti, Pier Luigi Spadolini ed Elio Casetta, aveva redatto un documento (approvato dal Consiglio provinciale nel gennaio 1974), in cui veniva vietato ogni nuovo ampiamento o edificazione di ospedali psichiatrici. Il documento, inoltre, raccomandava la distribuzione dei pazienti nei padiglioni sulla base del territorio d’appartenenza (per rendere più semplice il reinserimento nel tessuto locale una volta concluso il periodo di cura) e la “de-ospedalizzazione”, ovvero la preferenza per forme alternative di assistenza ai malati come l’inserimento in piccole comunità. Protagonista della chiusura dei manicomi genovesi l’assessore provinciale alla sanità dell’epoca, il compianto psichiatra Lamberto Cavallin, compagno di studi di Franco Basaglia, ispiratore della “180”. La legge costituisce infatti un compromesso al rialzo tra le posizioni di Psichiatria democratica (corrente progressista dell’ordine degli psichiatri) e le posizioni di alcuni politici “illuminati”. Tra questi il relatore Bruno Orsini, parlamentare genovese della Democrazia Cristiana, che deve affrontare una certa resistenza nel proprio schieramento, così come (nel Pci) deve fare Giovanni Berlinguer, responsabile alla sanità del partito. Oltre che negli schieramenti politici, la resistenza alla chiusura dei manicomi era forte anche nella società. Il clima di tensione di quegli anni (è l’epoca del terrorismo brigatista) rendeva le leggi restrittive decisamente più popolari di quelle tese a riconoscere nuovi diritti. Troppi, ancora, i pregiudizi legati alla pericolosità dei “matti”. Una difficile attuazione Anche per questo, dopo l’approvazione, non fu facile applicare concretamente i principi indicati dalla legge. Per ricollocare gli ex degenti degli istituti psichiatrici, il provvedimento prevedeva infatti la nascita di “servizi psichiatrici di diagnosi e cura” all’interno degli ospedali. Una soluzione poco gradita a Psichiatria democratica e alla parte più “progressista” dell’opinione pubblica, che chiama sprezzantemente i nuovi servizi “manicomietti”. Ben più forti, però, sono le resistenze “da destra”, che spingono molti ospedali a rifiutare di accogliere i nuovi ospiti. Il risultato fu che, a un anno dall’approvazione della legge, se il piano prevedeva che da 100 mila i pazienti degli istituti dovevano diventare 6 mila in tempi rapidi, in realtà a essere smistati nei nuovi “servizi psichiatrici di diagnosi e cura” furono solo in mille. Resistenze nella società, e resistenze anche nel Parlamento italiano. Ricorda Orsini in un’intervista rilasciata a “psychiatry online Italia” e pubblicata su Youtube, che dopo l’approvazione furono presentati ben 40 disegni di legge per abrogare o ridimensionare la Basaglia. Quella che oggi è largamente riconosciuta come una legge di cui l’Italia può farsi vanto nel mondo (nessun altro Stato ha infatti abrogato i manicomi “per legge”), nei primi anni di esistenza non ha dunque vita facile. A renderle più difficile la vita era anche una certa confusione nell’attribuzione dei ruoli tra Enti locali e Stati centrali. Insomma, per un’approvazione effettiva e completa, la legge intitolata a Basaglia dovrà aspettare i decenni successivi. «Le misure che stabilizzarono la situazione – ricorda Orsini – furono da una parte i progetti obiettivo, che davano denominazione comune e uno schema alla patologia mentale e agli strumenti per fronteggiarla. Poi va dato atto all’on. Bindi, che quando divenne ministro della Sanità alla fine degli anni ’90 introdusse un sistema molto efficace». 0 0 Rems. Con la chiusura degli Opg i problemi non sono finiti Radio Fragola: social radio 2016 0 Commenti Lascia una rispostaIl tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commentonome Email Sito web Δ Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
Già nel 1973, una commissione nominata dall’Amministrazione provinciale di Genova e composta da Pier Andrea Mazzoni, Franco Basaglia, Franco Giberti, Pier Luigi Spadolini ed Elio Casetta, aveva redatto un documento (approvato dal Consiglio provinciale nel gennaio 1974), in cui veniva vietato ogni nuovo ampiamento o edificazione di ospedali psichiatrici. Il documento, inoltre, raccomandava la distribuzione dei pazienti nei padiglioni sulla base del territorio d’appartenenza (per rendere più semplice il reinserimento nel tessuto locale una volta concluso il periodo di cura) e la “de-ospedalizzazione”, ovvero la preferenza per forme alternative di assistenza ai malati come l’inserimento in piccole comunità. Protagonista della chiusura dei manicomi genovesi l’assessore provinciale alla sanità dell’epoca, il compianto psichiatra Lamberto Cavallin, compagno di studi di Franco Basaglia, ispiratore della “180”. La legge costituisce infatti un compromesso al rialzo tra le posizioni di Psichiatria democratica (corrente progressista dell’ordine degli psichiatri) e le posizioni di alcuni politici “illuminati”. Tra questi il relatore Bruno Orsini, parlamentare genovese della Democrazia Cristiana, che deve affrontare una certa resistenza nel proprio schieramento, così come (nel Pci) deve fare Giovanni Berlinguer, responsabile alla sanità del partito. Oltre che negli schieramenti politici, la resistenza alla chiusura dei manicomi era forte anche nella società. Il clima di tensione di quegli anni (è l’epoca del terrorismo brigatista) rendeva le leggi restrittive decisamente più popolari di quelle tese a riconoscere nuovi diritti. Troppi, ancora, i pregiudizi legati alla pericolosità dei “matti”. Una difficile attuazione Anche per questo, dopo l’approvazione, non fu facile applicare concretamente i principi indicati dalla legge. Per ricollocare gli ex degenti degli istituti psichiatrici, il provvedimento prevedeva infatti la nascita di “servizi psichiatrici di diagnosi e cura” all’interno degli ospedali. Una soluzione poco gradita a Psichiatria democratica e alla parte più “progressista” dell’opinione pubblica, che chiama sprezzantemente i nuovi servizi “manicomietti”. Ben più forti, però, sono le resistenze “da destra”, che spingono molti ospedali a rifiutare di accogliere i nuovi ospiti. Il risultato fu che, a un anno dall’approvazione della legge, se il piano prevedeva che da 100 mila i pazienti degli istituti dovevano diventare 6 mila in tempi rapidi, in realtà a essere smistati nei nuovi “servizi psichiatrici di diagnosi e cura” furono solo in mille. Resistenze nella società, e resistenze anche nel Parlamento italiano. Ricorda Orsini in un’intervista rilasciata a “psychiatry online Italia” e pubblicata su Youtube, che dopo l’approvazione furono presentati ben 40 disegni di legge per abrogare o ridimensionare la Basaglia. Quella che oggi è largamente riconosciuta come una legge di cui l’Italia può farsi vanto nel mondo (nessun altro Stato ha infatti abrogato i manicomi “per legge”), nei primi anni di esistenza non ha dunque vita facile. A renderle più difficile la vita era anche una certa confusione nell’attribuzione dei ruoli tra Enti locali e Stati centrali. Insomma, per un’approvazione effettiva e completa, la legge intitolata a Basaglia dovrà aspettare i decenni successivi. «Le misure che stabilizzarono la situazione – ricorda Orsini – furono da una parte i progetti obiettivo, che davano denominazione comune e uno schema alla patologia mentale e agli strumenti per fronteggiarla. Poi va dato atto all’on. Bindi, che quando divenne ministro della Sanità alla fine degli anni ’90 introdusse un sistema molto efficace».