Manicomi criminali: una vergogna senza fine

Micromega approfondisce la situazione degli ex ospeali psochiatrici.

“Chi scrive è riuscito a partecipare – grazie al Comitato Stop Opg – alla prima ispezione nazionale all’interno di una Rems, le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza detentive, le nuove strutture che avrebbero dovuto sostituire i manicomi criminali e porre fine a quel che l’Europa ha considerato “luoghi inumani e degradanti”. La realtà dice altro. 
Malgrado la legge  81/2014 sancisca il loro definitivo superamento, gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari (Opg) sono ancora funzionanti, 181 le persone rinchiuse che arrivano a 407 contando Castiglione delle Stiviere (l’Opg diventato Rems), mentre le stesse Rems – come visto nella testimonianza diretta –  lasciano qualche perplessità, oltre ad essere di un numero ancora esiguo. La ferita, per il Paese, è ancora aperta. Nel silenzio generale.

Appena giunto alla struttura Pontecorvo scatto una foto: le sbarre alle finestre e il giardino recintato da grate alte 4 metri, saltano immediatamente all’occhio considerando che dovrebbe trattarsi di una casa di cura. Un vigilantes privato mi ammonisce, mi aveva notato dal sistema di video sorveglianza, una stanza al terzo piano della palazzina con monitor controlla infatti le molte telecamere posizionate all’interno e all’esterno dello stabile. 24ore su 24. 

All’ingresso ci attende un metal detector, poi si varca un cancello chiuso, come fosse un carcere. Sono rinchiuse dodici donne: 9 provengono dall’ex Opg di Castiglione delle Stiviere, 3 dalla libertà. Vanessa, 20enne, la più giovane, è una di loro. Soffre di schizofrenia, è arrivata da poco avendo compiuto un reato di taccheggio e piccoli danni al patrimonio. Durante alcuni raptus, ha già provato a scappare forzando il portone. Tentativi vani.

Al piano terra un grande atrio con divano e televisione. “Nel pomeriggio hanno tutte l’appuntamento fisso con il telefilm Segreto, uno dei pochi momenti di condivisione tra loro” ci spiega un operatore. La cucina è grande, ma vuota. Le finestre sono alte, altissime, impossibile guardare fuori. Viene utilizzata di rado perché i pasti vengono portati esternamente, pessima la qualità. Di fianco alla cucina, una piccola palestra – con tapis roulant e cyclette – e una sala fumatori. Le attività ricreative sono pressoché nulle. “Ho chiesto al magistrato il permesso di far uscire i pazienti, ogni tanto, ma ho avuto il diniego”, spiega lo psichiatra responsabile della Rems, il quale ci accompagna nella visita alla struttura. La magistratura, per motivi di sicurezza, consentirebbe le ore d’aria solo nel giardinetto, circondato da sbarre, così i rei folli sono internati giorno e notte. Senza cellulare. E i progetti terapeutico riabilitativi individuali (Ptri) presentati dai servizi di salute mentale del territorio, finalizzati alle dimissioni come prevede la legge, risultano pochissimi. 

Continuiamo con l’ispezione. Il primo piano è chiuso, inutilizzabile. Al secondo il dormitorio per le 12 pazienti: le porte delle stanze da letto hanno l’oblò per guardare all’interno, sono chiuse ermeticamente. Dopo una certa ora, la sera, le pazienti vengono recluse, le porte non apribili da dentro. Impossibile uscire. In caso di bisogno, si comunica tramite un citofono posizionato nella camera e collegato alla stanza delle infermiere. “Due volte mi hanno chiuso dentro. Volevo uscire, stavo male. Odio questo posto, lo odio” ci dice Concetta. Ha voglia di parlare, di raccontare e denunciare la propria quotidianità, nella Rems. Come tutte le altre, desidera uscire. Lo psichiatra la interrompe, in maniera repentina, quasi giustificando il gesto: “L’unico modo per calmarle quando vanno in escandescenza è rinchiuderle nelle proprie stanze da letto”. 
In effetti, nelle Rems – gestite direttamente dalle Asl regionali e strutture di massimo 20 posti – c’è da verificare anche se si pratica la contenzione con misure coercitive per i pazienti, come camicie di forza, stanze del buco e fascette. A Pontecorvo non viene praticata, per fortuna.

Ma gli stessi operatori evidenziano delle difficoltà e lamentano una grande disorganizzazione lavorativa con assistenti sociali costrette a mansioni extra: “Spesso ci sentiamo mandati allo sbaraglio, si era parlato di una formazione iniziale che in realtà non c’è mai stata – confessano – Così è tutto più difficile, per i pazienti e per noi”. Sono persino sotto organico. Ogni Rems sembra differenziarsi dall’altra, in relazione alle soluzioni architettonico/strutturali (presenza o meno di recinzioni, blindature, telecamere, dimensioni della stanze) all’ubicazione (lontane o vicine ai centri abitati) all’organizzazione degli spazi e del lavoro, al rapporto con la magistratura e con i servizi territoriali di salute mentale.  

“La Rems di Pontecorvo ha un marcata caratteristica custodiale e di tipo manicomiale. Siamo in presenza di un mini-Opg regionale. Persino il bel giardino è rovinato da un’impressionante recinzione carceraria”, afferma Stefano Cecconi, è al mio fianco insieme alla psichiatra Giovanna Del Giudice, entrambi della Rete Stop Opg. Prendono appunti. In alcuni tratti palesano evidente preoccupazione. “La magistratura non sta applicando la legge 81/2014 laddove prevede la misura detentiva in Rems come extrema ratio – denunciano – Ciò determina il rallentamento nella chiusura degli Opg e rischia di gonfiare impropriamente la necessità di posti di Rems”. Facendo un passo indietro, gli stessi manicomi criminali – che dovevano chiudere lo scorso primo aprile – sono ancora aperti. “

 

 

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