Piero Cipriano, psichiatra, racconta in un articolo molto interessante la situazione dei Dipartimenti di Salute Mentale e delle Case di Cura della regione Lazio:,una regione dove buona parte dei fondi è destinata alle cure private.
Il Lazio concentra il maggior numero di posti letto psichiatrici privati d’Italia. Forse è (anche) per questo che i Dipartimenti di Salute Mentale di questa regione sono così sofferenti. Piero Cipriano analizza questa situazione in maniera molto lucida:
“Nelle case di cura private del Lazio i malati sono internati a singhiozzo: passano uno due tre mesi ricoverati, poi fanno una pausa di una o più settimane, per ricominciare nella stessa o in altre case di cura private, come fossero villaggi turistici della cronicità, della lungodegenza, della manicomialità, talvolta, se stanno un po’ peggio (gli acuti nelle case di cura private non li vogliono, gradiscono solo i tranquilli, non gli agitati), si fanno una decina di giorni in SPDC, dove la dose di farmaci può essere più generosa (i SPDC sono apposta inseriti nell’ospedale, dove c’è la Rianimazione, in caso di bisogno). Insomma, le case di cura private sono uno dei luoghi centrali di quella perversa istituzione definita manicomio circolare, o manicomio diffuso.
Il totale, nel Lazio, fino a poco tempo fa, era di circa 1300 letti nelle dodici case di cura private, contro i circa 270 nei ventuno Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura.
Segnalo che la ricerca Progres Acuti riportava, in Italia, 3997 posti nei 323 SPDC d’Italia, e quasi altrettanti (3956) nelle 56 case di cura private.
Per cui il conto è facile: un terzo dei posti letto nelle case di cura private italiane si trova nel Lazio.
Una di queste, la clinica San Valentino, è perfino attrezzata per somministrare gli elettrochoc.”
Con l’attuazione di un decreto della regione Lazio del 2010 le Case di Cura Neuropsichiatriche sono state “riqualificate” in Strutture per Trattamenti Psichiatrici Intensivi Territoriali (STPIT). Alle case di cura del Lazio sono stati assegnati trenta posti letto, per un totale di duecentoquaranta, destinati ai pazienti dimessi dai SPDC che hanno ancora necessità di proseguire il trattamento. L’intento di questo decreto è di superare la dimensione custodialistica che l’ex casa di cura rappresentava, per porre, finalmente, l’accento sulla continuità assistenziale- terapeutica.
Piero Cipriano continua la sua analisi ponendo una domanda:
“In breve direi che i servizi dei DSM sono deboli nel territorio (CSM sempre più sguarniti, contenitori senza contenuto, pochi operatori e usurati o scettici o custodialisti) e forti nell’ospedale (SPDC con pianta organica ben fornita di operatori, dieci psichiatri, venti venticinque infermieri per un SPDC di dodici posti, per fare un esempio, stile pressoché sempre restraint, porte chiuse, fasce sempre pronte, dosi generose di farmaci e depot ormai già dalla prima crisi), e con la prassi condivisa del proseguimento cure in casa di cura, che ora abbiamo detto non chiamasi più casa di cura ma STPIT, ovvero, con perfida manomissione delle parole, Strutture per Trattamenti Psichiatrici Intensivi Territoriali: sono territorio insomma.
Ebbene: a che ci serve a noi del Lazio non solo il CSM nelle 24 ore e nei 7 giorni, ma perfino il CSM nelle 10-12 ore e nei 5-6 giorni, a che ci serve se l’assistenza territoriale s’è trasferita efficacemente nelle case di cura?”